
“IO, FRIDA” DALO’ PORTA IL MESSICO A BITETTO

“Piedi, perché li voglio se ho le ali per volare?” (cit. Frida Khalo).Questo è il leitmotiv che aleggiava sulla rappresentazione teatrale “Io, Frida” che ha avuto luogo venerdì 12 ottobre a Bitetto presso il liceo scientifico “E. Amaldi”. Un pronome personale con la lettera maiuscola come lo era l’animo del personaggio rappresentato. Sotto lo sguardo estasiato del pubblico il regista Vito Dalò supportato dalla compagnia teatrale Officina D’arte ha trascinato per capelli sul palco l’essenza pura di un teatro sociale che a gran voce reclamava il bisogno e il diritto dell’arte di saper coniugare amore per la cultura, per la disabilità, per le differenze sociali. Dalò ha preso in mano la vita della Khalo e ha fatto della sua disperazione, della sua pioggia, delle sue angosce, della sua ribellione un inno alla vita perché come l’artista stessa scriveva “Dipingo fiori per non farli morire”; sul palcoscenico si alternavano tutte le anime di Frida (Giusy D’Aries, Federica Letteri, Marilena Marziliano, Marianna Nasti, Rossella Occhiogrosso, Angela Peragine, Mary Tarulli, Alice Villani, Valentina Villani), ciascuna declinata con dovizia di poetici particolari in relazione alle persone che hanno caratterizzato la sua vita: Matilde Khalo (Angela Burdi), Leon Trotsky (Giuseppe Damone), Diego Riviera (Giulio De Benedittis), Bartoli (Vincenzo Fiore), Cristina Khalo (Maria Grazia Occhiogrosso), Tina Modotti (Tiziana Rifino), Wilhelm Kahlo (Francesco Taldone). Lo spettacolo ostentava spudoratamente un’irreprensibile attenzione ai dettagli nella sceneggiatura, nei costumi, nelle coreografie, nella scenografia lasciando che ogni elemento avesse il potere intrinseco di parlare al pubblico. La rappresentazione scavalcava le mura della mera narrazione per fare di una vita privata l’emblema metaforico di una generazione, quella dei meticci, quella della rivoluzione comunista, quella della lotta per i diritti umani, solo apparentemente da noi lontana nel tempo e nello spazio. Alternando le tenebre della Morte (Marianna Gatta) alle malinconiche e soavi note del Messico (Maristella Schiavone, Sandro Cardascio), lo spettacolo ci ha mostrato la strada che pur partendo da una stupro del corpo, del Messico, degli ideali, è riuscito a trasformare la morte in vita, la rivoluzione in arte, l’angoscia in bellezza. La rappresentazione, apertasi con un videomessaggio di Barbara Carniti, figlia della poetessa Alda Merini, s’è conclusa con la commovente interpretazione dell’artista Annamaria Romito della celebre poesia che la grande Merini dedicò a Frida. La rappresentazione teatrale, fino in fondo tesa a smuovere coscienze, è stata come ha più volte sottolineato il regista completamente auto sovvenzionata. Nessun biglietto, nessuna limitazione; una rappresentazione a cuore e a porte aperte perché come Frida, come la Merini, come il regista e tutti gli artisti hanno voluto reclamare a gran voce l’arte è di tutti e per tutti, oltre qualsiasi barriera sociale, economica e architettonica, perché l’arte deve essere libera di urlare “Viva la vida!” (cit. Frida Khalo).